A volte ritornano, se col microchip, più spesso
Da Milano – Se siete intenzionati a prendere in casa dei cuccioli di cagnolini o ne avete già preso uno, saprete che una delle pratiche ricorrenti è quella di applicare un microchip all’animale. Si tratta di un piccolo circuito integrato della lunghezza di 11 millimetri e dello spessore di 2, che viene iniettato sotto cute.
Questo microchip contiene un codice di 15 numeri che può essere letto con uno scanner e che deve essere registrato all’ Anagrafe Canina dove il proprietario del cane inserisce i propri dati: numero di telefono, indirizzo e via dicendo. Col codice quindi si rintracciano i dati del proprietario, questo dovrebbe garantire una maggiore possibilità di restituzione dell’animale in caso di smarrimento.
Ma funziona davvero?
Da una ricerca svolta negli Stati Uniti sembrerebbe proprio di sì.
Secondo questa ricerca, i proprietari dei cani “microchippati” (funziona anche per i mici) sono stati ritrovati 3 volte su 4.
Lo studio ha coinvolto 53 ricoveri in 23 stati, che hanno deciso di tenere un registro mensile sugli animali dotati microchip portati presso le loro strutture. Sono stati inclusi solo rifugi che svolgono automaticamente l’analisi dei microchip su tutti gli animali ammessi.
In tutto, i proprietari, degli animali dotati di microchip, ritrovati sono stati il 72,7%. Tra questi, il 73,9% ha riavuto indietro il cucciolo.
I dati sono stati raccolti da agosto 2007 a marzo 2008. Lo studio ha coinvolto un totale di 7.704 animali dotati di microchip.
Nei casi in cui i proprietari non sono stati trovati, i motivi sono dati dai numeri di telefono errati o non più attivi (35,4 %), dal fatto che i proprietari non abbiano risposto al telefono o alle lettere inviate (24,3%), al microchip non registrato (9,8%) o al microchip registrato in un database diverso da quello indicato nel codice (17,2%).